Cos’è l’autismo

Lo spettro dell’autismo inficia l’interazione sociale nella sua più profonda essenza: la comunicazione. Lede la relazione e crea distanza.

E così, esistono Bambini che faticano a guardare i genitori, a sorridere loro, a divertirsi con loro. Ed esistono genitori che si sentono invisibili, impotenti, desiderosi di vicinanza eppure, così distanti da quel figlio che a tratti non sembra il proprio. E infatti, vive ni un mondo altro, lontano. Lì, impara ad esplorare, comunicare e giocare con una modalità tutta propria, incomprensibile ai più. Sembra disinteressato al mondo abitato dagli altri e, invece, è solo inattrezzato a poterlo abitare. Non sa come spostarsi da lì a qui. E i suoi genitori non sanno come raggiungerlo esattamente lì, dove lui si trova.

Eppure, quel mondo così atipico, per quanto lontano, non è completamente inaccessibile. Esiste sempre una chiave che sblocca il lucchetto relazionale. I genitori non la posseggono, ma possono acquisirla, rivolgendosi a fabbri, esperti di serrature complesse. Il primo passo è trasformare la paura della diagnosi in desiderio d’azione. Diagnosticare precocemente consente di intervenire tempestivamente. Per questi bambini un’azione tempestiva è un’azione maggiormente trasformativa. Quanto? Fino a che punto? Non ci è dato saperlo. Si tratta di bambini simili in termini diagnostici, ma unici in termini funzionali. È impossibile trovare un bambino identico ad un altro. Non si tratta tanto di bambini irraggiungibili, quanto irripetibili. Per questo l’intervento è sempre personalizzato e specifico. È difficile infatti, che una stessa chiave apra lucchetti diversi. Un buon fabbro, non si limita a consegnare chiavi ai genitori, ma le costruisce assieme a loro; poi, li prende per mano e li conduce verso il bambino.

Favorire l’incontro tra il bambino e i genitori dovrebbe essere obiettivo di ogni intervento terapeutico. Raccontare quell’incontro, parziale o completo che sia, dovrebbe essere possibile per ogni genitore.

Nel suo libro, Alessandra racconta questa possibilità. Le parole danno voce alla sua storia, che però, incredibilmente, diventa la storia di tanti. Leggendola, ci si sposta da qui a lì, traghettando dal dolore alla speranza, verso l’incontro.

Maria Grazia Paradiso

Psicologa Sistemico-Relazionale

 

La diagnosi di autismo vista con gli occhi di una mamma.

 

Quando l‘autismo ti tocca da vicino perché è proprio tuo figlio, la persona che ami di più al mondo, a riceverne la diagnosi, per te si aprono orizzonti totalmente inesplorati, scenari di vita e sensazioni contrastanti tra loro che affollano la tua mente e ti portano a rivedere totalmente le tue priorità, la tua vita e a far uscire fuori una forza talmente grande che neanche tu sapevi di avere dentro di te. E non perché l’autismo sia un fenomeno che vada inteso soltanto dal lato negativo, in quanto, dall’altra parte della medaglia ti accorgi delle sfaccettature positive che questo ogni giorno ti mette dinanzi.

Purtroppo, come accade per tutte le cose, quando la vita ti mette alla prova portandoti a vivere determinate situazioni, si hanno solamente due possibilità: non vedere, far finta di niente, continuare la propria vita negando l’evidenza e facendo finta che tutto vada bene e che tutto proceda come al solito, oppure aprire gli occhi, vedere la situazione e accettarla e prenderla di petto, passando così alla fase operativa. E’ quest’ultima la strada che ho seguito io, da mamma, supportata dalla mia famiglia, perché con l’autismo, mettere la testa sotto la sabbia diventa controproducente, in quanto sono proprio la diagnosi precoce e la tempestività dell’approccio terapeutico a fare la differenza, ma per far si che questa avvenga è necessario avere contezza della situazione, accettarla ed essere coscienti del fatto che agendo nella maniera giusta stiamo dando un’opportunità di crescita funzionale a nostro figlio, facendo di tutto affinchè possa migliorare e possa emergere il potenziale enorme che è racchiuso dentro di lui; tutte cose che non si verificherebbero nel caso contrario e che porterebbero, anzi ad un peggioramento della situazione.

Acquisire la consapevolezza di ciò che sta accadendo non è semplice e non avviene magicamente schioccando le dita. È un cammino che parte da sé stessi, a livello interiore e poi si affronta come famiglia. È un cammino che all’inizio ti porta a farti mille domande ad alcune delle quali riesci a rispondere e ad altre no; ti porta ad essere arrabbiata con il mondo intero, a piangere e a disperarti, a urlare e chiederti il perché. Ma è un cammino che si può e si deve fare, per il bene del proprio figlio e della propria famiglia affinchè entrambi possano avere una vita più autonoma e migliore possibile.

Dalla consapevolezza e dall’accettazione dell’autismo come ricchezza e non con come entità negativa, che fa parte di mio figlio, ma fa parte anche di me prende le mosse il mio lavoro.

Alessandra, mamma di Bryan

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