Dopo almeno due anni di chiacchierate con le madri, sulla sproporzionata mole di stress generato dalla gestione contemporanea di lavoro e famiglia, che ricade in larga misura sulle loro spalle nell’attuale condizione pandemica, potrei dire che scrutare l’orizzonte alla ricerca di segnali di ottimismo sia diventata un’impresa complicata. È per questo che ho deciso di provare a guardare a questo tema da un punto di vista non sanitario, lasciando fuori considerazioni sulla salute mentale dei singoli, pur importantissime. Claudia Goldin, un’economista della Harvard University, autrice del libro “Career and Family: Women’s Century-Long Journey toward Equity,” mi ha offerto molti spunti di riflessione.
Se consideriamo quanto le donne siano riuscite a cambiare il loro destino nell’ultimo secolo, forse possiamo provare ad essere positivi. In fondo, nella prima metà del ventesimo secolo, la donna che aveva studiato era comunque ancora costretta a scegliere fra l’avere una carriera o dei figli, scelta spesso dolorosa e difficile.
I luoghi di lavoro stanno cambiando, il lavoro in remote è stato in qualche modo sdoganato, “normalizzato”, e sebbene spaventate dall’emergenza, le donne hanno usato questa opportunità in modo intelligente, per avere più scelte. La principale ragione per coltivare comunque un po’ di ottimismo è che la pandemia, per dirla con Godin, potrebbe aver “cambiato i lavori avidi perché siano meno avidi, e cambiato i lavori flessibili per essere più produttivi.”
Goldin analizza infatti nel suo libro i numerosi fattori che pesano sul divario salariale di genere, che è più grande per le madri che per le donne che non hanno figli, e trova che il problema più grave sia quello che gli economisti chiamano lavoro avido: “lavori ad alto salario con ore lunghe ed inflessibili”. Le donne altamente istruite tendono ad essere sposate con uomini altamente istruiti, e quando entrambi i partner hanno lavori avidi, sono in genere le donne che devono fare un passo indietro per prendersi cura della famiglia.
È interessante notare come i genitori single abbiano già meno possibilità di fare un passo indietro. Goldin nel suo libro si concentra sulla ricerca che ha confrontato donne laureate e le loro controparti maschili. Subito dopo la laurea, le donne guadagnavano quasi lo stesso dei loro omologhi maschi. Ma 13 anni dopo, Goldin scoprì che le donne guadagnavano meno e il divario di retribuzione può essere spiegato con il congedo parentale che le mamme che lavorano devono spesso richiedere. I lavori più remunerativi richiedono orari così lunghi che le madri non possono prenderne in considerazione l’assunzione, ed i lavori meno gravosi pagano meno.
Sorprendentemente, il settore occupazionale con il più piccolo divario di genere che Goldin ha studiato è quello degli ingegneri. Questo perché molti lavoratori tecnologici tendono ad avere meno vincoli di tempo sul lavoro e meno lavoro strutturato, con più autonomia per determinare i loro obiettivi e priorità, ed il loro lavoro dipende meno da relazioni interpersonali di quanto non accada nel mondo corporativo. Le difficoltà e lacune più grandi, come ho potuto sperimentare sulla mia pelle, sono presenti fra i medici ed avvocati, lavori che permettono orari meno flessibili e, particolarmente per i medici, sono fatti di persona e nel coordinamento con molta altra gente. “Il lato positivo della altrimenti devastante pandemia”, Goldin ha scritto, è un “equilibrio coordinato”, in cui molte persone che hanno per anni trascorso un sacco di tempo viaggiando per lavoro hanno
scoperto che non era affatto necessario. Nell’era Covid, i padri sono stati in grado di trascorrere più tempo con i loro figli – anche se ancora meno del tempo trascorso dalle madri, pur se impegnate in lavori avidi – e forse si sono resi conto di quanto stavano perdendo lavorando tante ore.
Questo è importante: finora troppo spesso pensavamo che le donne in carriera fossero perdenti, nel dedicare più tempo alla genitorialità. Proviamo invece a cambiare punto di vista ed a riflettere su quanti padri, troppi, stanno perdendo momenti familiari fondamentali passando così tanto tempo al lavoro. Ho sentito tante volte i lavoratori di domani, i giovani, dire che non vogliono una vita in cui non sono a casa per cena con i loro figli.
Le disgrazie pandemiche hanno anche portato in primo piano la necessità di assicurare un’educazione prescolare universale ed affidabile, su cui poter contare. In quest’ultimo anno si sono moltiplicate, e con ragione, le polemiche legate alla gestione delle pur necessarie quarantene, dei tamponi, e della possibilità per le famiglie di poter contare il più possibile su scuole per l’infanzia e primarie in presenza. È davvero complesso dover seguire in remoto il collegamento ed effettivo impegno dei figli sulle piattaforme scolastiche, e contemporaneamente dover motivare, tranquillizzare e consolare chi fra loro trova molte difficoltà. Senza dimenticare che, in quelle stesse ore, le mamme devono anche essere produttive ed efficienti nel loro lavoro in remoto, facendo un continuo slalom fra razionalità ed emozionalità. Ho notato, non senza stupore, che bambini considerati poco socievoli, timidi, “complicati” sembrano gradire molto la DAD, sentendosi finalmente al sicuro dietro uno schermo. Questa osservazione mi ha portata però a riflettere…se non a scuola, quando? Se non imparano a scuola resilienza, capacità di lavorare in gruppo, rispetto delle regole, suddivisione dei compiti, risoluzione dei problemi relazionali, dove mai potranno farlo? Questa fondamentale palestra educativa non può assolvere solo a compiti nozionistici. Quell’apparente contentezza, maggiore facilità, è in realtà un’occasione perduta, un tempo insieme che non tornerà. Ecco che le madri, abituate a leggere nei figli le difficoltà legate ad appartenenza ed emotività, chiedono a gran voce ai governi di farsi carico in modo più serio della questione scuola.
Lo smart working è uno strumento efficace per rispondere alle esigenze sempre maggiori che riscontriamo sia nell’ambito del lavoro che in quello della vita privata. Questa modalità di lavoro può aiutare ad essere più performanti nel lavoro, ed ha diversi vantaggi per la gestione della casa, dei figli e del tempo libero.
Ma una migliore gestione del lavoro e dei ruoli familiari può aiutare a diminuire la disparità di genere, soprattutto per le madri lavoratrici?
Se prima chi decideva di usufruire di queste politiche, se disponibili, non lo faceva a cuor leggero per paura di ripercussioni sul proprio avanzamento di carriera, oggi questi ostacoli sembrerebbero essere stati rimossi. Cosa succederà quando la pandemia terminerà definitivamente e potremo tornare tutti a scegliere se usufruire o meno dello Smart Working?
In un interessante studio, pubblicato su Social Forces, nel 2016, Christin Munsch ha indagato la tematica dello stigma legato all’utilizzo dello Smart Working e la sua relazione con caratteristiche legate al genere ed alla cura dei figli.