Avete mai notato come le vocali cambino le nostre espressioni facciali e quello che trasmettiamo agli altri? Immaginate una A molto aperta che, con un piccolo sorriso, si trasforma in E; come per tracciare un cerchio, diventa O; abbassando le sopracciglia diventa una I e, immaginando di dare un bacio, ecco la U!
È su questo che si fonda il canto materno, meglio definito come il “canto carnatico”. Esso è arrivato in Europa dall’India del sud grazie a Frédérick Leboyer, un medico francese, di ritorno da uno dei sui viaggi in Oriente. Secondo la tradizione, il canto viene inteso come un vero e proprio rito. La donna infatti, secondo Leboyer, durante il parto entra in contatto con l’origine della vita e della morte: avviene una vera e propria transizione spirituale.
Questo canto permette di affinare la gestione e la consapevolezza del respiro addominale, alleviando tensioni muscolari. Esiste, infatti, una stretta connessione tra bocca/gola e vagina/cervice, motivo per cui una corretta respirazione unita a una corretta posizione della bocca, permetterà attraverso le vocalizzazioni una maggiore rilassatezza nella zona vaginale.
L’emissione sonora, inoltre, produce fenomeni vibrazionali che aiutano a “cullare” il feto e portare calma e pace interiore.
Il canto carnatico insegna anche a come gestire il silenzio, poiché parte da esso per ritornarci successivamente, tra un emissione e l’altra. Si pratica attraverso il suono della tampura, uno strumento tradizionale indiano che aiuta a prendere il giusto respiro e a ricaricarsi, esattamente ciò che avviene durante il travaglio. I suoni utilizzati, infatti, sono scale definite “raga”, una rappresentazione sonora che segue l’onda della contrazione.
Lasciamoci quindi cullare dalle nostre vibrazioni interne e ricordiamoci di respirare correttamente!
SITOGRAFIA:
http://www.nelsuono.it/cantogravidanza/metodoleboyer/
https://www.giovanigenitori.it/lifestyle/il-canto-carnatico/